domenica 21 settembre 2025

Il Capitalismo della Sorveglianza - Shoshana Zuboff

 

Qual è il prezzo di ignoranza e libertà? Zuboff ce lo spiega in 525 pagine di opera monumentale. Ci sono libri che non si leggono soltanto: si subiscono, come uno schiaffo che ti sveglia dal torpore. Non perché si presenti come una lettura scorrevole — anzi, il linguaggio è spesso tecnico, accademico, impegnativo — ma perché costringe il lettore a guardare in faccia una realtà che da tempo ci scorre sotto gli occhi e che preferiamo ignorare.

Il concetto centrale è semplice nella sua brutalità: le grandi piattaforme tecnologiche hanno inventato una nuova forma di capitalismo, che non si limita a vendere beni o servizi, ma a trasformare in merce la materia prima più intima e inafferrabile: i nostri dati, i nostri comportamenti, la nostra stessa esperienza di vita, trasformando noi utenti nella loro materia prima più preziosa.

Zuboff chiama questo fenomeno “Capitalismo della sorveglianza”. Non si tratta di una metafora suggestiva, ma di una categoria storica, come il capitalismo mercantile o industriale. È un modello economico a sé, con proprie regole, attori dominanti e logiche di accumulazione e come per i pericoli intercorsi nelle grandi trasformazioni delle società del passato anche questo momento non si esime da un’attenta analisi del caso.

Le aziende della Silicon Valley hanno capito che la ricchezza del XXI secolo non sta più nei pozzi di petrolio o nelle catene di montaggio, ma nella capacità di catturare, elaborare e monetizzare i dati comportamentali. In altri termini: noi non siamo più i clienti, ma la materia prima. E non si tratta solo di sapere che cosa compriamo o dove andiamo, ma di prevedere e, soprattutto, influenzare ciò che faremo, e da questa previsione ricavarne il più alto profitto possibile. In pratica è il potere al servizio del denaro, fine ultimo della giostra Hi-Tech.

Ecco la vera novità: il capitalismo della sorveglianza non si limita a osservare, ma ambisce a dirigere. Non si accontenta di prevedere che andremo in vacanza a Barcellona: vuole spingerci, con annunci mirati, suggerimenti invisibili e pressioni sottili, a scegliere proprio quell’hotel, quel volo, quel ristorante e a vendere i nostri dati comportamenti a quelle stesse aziende che ambiscono scrutare il futuro dei consumatori, possibilmente in anticipi su altri competitor del medesimo settore, insomma l’ambita sfera di cristallo.

La Zuboff ci fa notare che ci siamo fatti scippare la libertà con la stessa inconsapevolezza con cui un turista si lascia alleggerire del portafoglio in una piazza affollata. Non ci hanno imposto nulla con la forza, non ci hanno obbligati con decreti o manganelli: ci hanno sedotti con servizi comodi, gratuiti, irresistibili al minimo costo del nostro tempo superfluo. In pratica ci siamo venduti per “un like e una carezza digitale”, senza accorgerci che nel frattempo stavamo consegnando la dispensa di casa a chi ci offriva caramelle colorate. È questa la cifra di genialità e, insieme, di pericolo del capitalismo della sorveglianza: la sua capacità di travestire il controllo da libertà, la manipolazione da servizio.

L’analisi di Zuboff si inserisce in una cornice ancora più ampia. Il paragone più chiaro è che ogni ordine sociale si fonda su una narrazione. Se, ad esempio, capitalismo industriale si reggeva sul mito del progresso, della produzione infinita, della crescita come destino, il capitalismo della sorveglianza, invece, si regge sulla promessa della comodità assoluta: servizi personalizzati, risposte immediate, soluzioni senza sforzo.

Ma ogni narrazione ha il suo prezzo. Qui il prezzo è quello della riduzione dell’uomo a dato grezzo, a entità prevedibile, misurabile, manipolabile. L’illusione di libertà nasconde una realtà di crescente eterodirezione. Non è più lo Stato a controllarci per fini politici, ma aziende private che plasmano i nostri comportamenti per fini economici.

Lo stesso paragone visto in rapporto alla rivoluzione industriale dell’Ottocento non è forzato. Allora le masse contadine furono catapultate nelle fabbriche, dove la loro forza lavoro venne sfruttata come mai prima. Oggi, nell’era digitale, non è il nostro sudore a essere mercificato, ma la nostra attenzione, le nostre emozioni, le nostre scelte quotidiane.

Così come i capitalisti industriali accumulavano ricchezza sulle spalle di operai senza diritti, i giganti della tecnologia accumulano profitti colossali sfruttando utenti inconsapevoli, privi di strumenti per difendere la propria privacy. La differenza è che gli operai potevano almeno scioperare: noi, di fronte a Google o Facebook, che arma abbiamo?

Uno dei passaggi più illuminanti del libro è lo smascheramento del mito della gratuità. Nulla è gratis. I servizi digitali che usiamo quotidianamente non ci costano denaro perché il vero prezzo siamo noi stessi. Ogni click, ogni ricerca, ogni foto condivisa è una pepita che alimenta il grande motore predittivo delle piattaforme.

È un meccanismo tanto elegante quanto spietato: ci illude di essere liberi mentre ci vincola a un ecosistema chiuso, da cui diventa sempre più difficile uscire. La comodità è la catena più solida.

Zuboff però non si ferma alla mera analisi economica. La sua denuncia è anche politica. Se le piattaforme possono manipolare i nostri consumi, perché non dovrebbero manipolare anche le nostre opinioni politiche? Lo scandalo del Cambridge Analytica è solo la punta dell’iceberg di questo scandalo. Il rischio non è solo quello di vivere in società meno libere, ma di trasformare la democrazia in una tecnocrazia invisibile, dove le decisioni collettive sono orientate da algoritmi opachi, guidati non dall’interesse pubblico ma dal profitto privato.

Va detto con franchezza: Il Capitalismo della Sorveglianza non è una lettura leggera. È un libro lungo, denso, con pagine che richiedono pazienza e concentrazione. Zuboff scrive con rigore accademico, talvolta pedante. Ma questo difetto si rovescia nel suo pregio maggiore: la serietà dell’analisi, la mole di prove, la precisione con cui documenta il fenomeno. Non è un pamphlet polemico né un esercizio retorico: è una ricerca accurata che mette in fila, pezzo dopo pezzo, la costruzione di un sistema che rischia di diventare irreversibile ma che mostra chiare crepe nel diffuso disagio vissuto dalle società sempre più strette dalla morsa dei “nuovi padroni”. Zuboff ci dice che non possiamo limitarci a essere spettatori passivi. Senza regole, il capitalismo della sorveglianza non resterà confinato alle pubblicità online, ma si espanderà in ogni ambito: lavoro, sanità, politica, istruzione. Il rischio è che l’essere umano perda il suo status di soggetto libero e diventi un oggetto prevedibile, manipolabile, addomesticato. In questo scenario, la parola “libertà” rischia di ridursi a uno slogan vuoto, mentre le nostre vite saranno tracciate e guidate da logiche di mercato.

In pratica stiamo barattando la nostra libertà per la comodità di un click. E, come accadde nell’Ottocento con gli operai sfruttati, oggi ci troviamo davanti alla necessità di una nuova stagione di regole, diritti, tutele. Il libro di Zuboff ci invita urgentemente a scegliere se vogliamo vivere da cittadini consapevoli o da cavie inconsapevoli. La scelta, per ora, è ancora nostra e “Mai più” dovrebbe essere lo slogan col quale esprimere questa lotta.

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