Premio Nobel per la letteratura nel 2015, questo già dovrebbe bastare come presentazione. Ma io non sono solito accontentarmi delle blasonate infiocchettate delle case editrici e il libro l'ho preso in mano, l'ho sfogliato, l'ho divorato.
Quello che ha subito suscitato la mia curiosità è stato il format del contenuto, non si tratta del solito romanzo scala-classifiche, ma bensì di una testimonianza, uno spaccato di realtà, una raccolta letteraria di documenti editi dalle numerose interviste che la Svetlana, in giro per la Russia, ha raccolto dalla cruda bocca di chi ha accettato la sua invadenza; per molti violazione dei principi base di quel mondo di spionaggio che, decaduto, lasciò spazio solo all'incertezza e al vuoto di un futuro fortemente oscuro.
Ma collochiamo cronologicamente la vicenda. La Aleksievic ci catapulta al tempo del crollo dell'Unione Sovietica, non si tratta solo della simbolica caduta di un muro, ma dell'infrangersi delle certezze di una nazione, che è bene ricordarlo, è nata da una violenta rivoluzione, per poi essere in seguito stuprata dai sogni sanguinari di Stalin.
Torniamo al crollo. Il disorientamento pervase una nazione intera che portava avanti da settant'anni il più grande esperimento sociale su larga scala che l'umanità avesse mai tentato: il Comunismo.
La Svetlana è imparziale nell'esporre le parole degli intervistati. Qui siamo di fronte al giornalismo dei corrispondenti di guerra, ormai una specie rara (Fallaci per citare una delle migliori), genere che l'autrice mostra di saper padroneggiare; nulla del suo pensiero personale contamina i ricordi di chi racconta col cuore il proprio passato, il triste presente e l'incerto futuro. Solo una cosa sembra accomunare queste persone, ed è la gratitudine nei confronti della giornalista. La gratitudine per aver ascoltato, in silenzio, le loro voci soffocate da lungo tempo dalla nuova società emersa dalle ceneri dello sgretolamento avviato dal presidente Gorbaciov: il Capitalismo.
Una volta terminato il libro un ricordo mi è balenato. Si tratta della frase di un altro premio Nobel, in questo caso alla fisica, che ebbe da commentare proprio sul proprio contributo alla nazione Russa. Trattasi di Andrei Sakarov, che con poche parole ha espresso quello che la Svetlana ha compiuto in anni di interviste; disse: "ho sempre pensato che l'arma più potente del mondo è la bomba, e per questo l'ho data al mio popolo. Ma sono giunto alla conclusione che l'arma più potente del mondo non è la bomba, ma la verità!”.

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