Quando con la mente vago nei miei ricordi, alternando gioie e amarezze, un posto tra gli incubi dell'adolescenza lo custodisce indubbiamente questo romanzo. Parliamoci chiaro, quello che a suo tempo terrorizzò la mia suscettibile mente fu la miniserie in due puntate trasmessa su Italia1 e non questo libro; ma citando il titolo di un altro noto romanzo di King 'A volte ritornano', trovo giunto il momento di confrontarmi con il passato e con quelle latenti paure che pensavo di aver ormai sepolto nel subconscio della mia anima.
Tutti ricordiamo le prime pagine in cui una barchetta scivola lungo un rivolo gonfio di pioggia inseguita da quell'impermeabile giallo, sul quale le macchie di rosso dell'efferato delitto avrebbero segnato le menti dei protagonisti per ventotto lunghi anni.
Non esporrò qui la trama del romanzo, che credo numerose generazioni di amanti dell'horror ben conoscono, piuttosto mi voglio soffermare sull'anima che King è riuscito ad imprimere al romanzo utilizzando semplicemente una capacità descrittiva e un uso delle parole in grado di farsi spazio nelle nostre menti.
Vedete, proprio questo è riuscito a fare con It, gli ha dato un'anima, lo ha liberato, e senza rendercene conto ce lo ritroviamo affianco a noi, camuffato da abat-jour mal funzionante, oppure da umidità che arriccia le pagine stesse del nostro libro, insomma puri stati di PAURA. Perché It non è solo un'essenza che si alimenta del terrore; l'orrore è lui a generarlo o comunque trova i modi più astrusi per far cadere nella sua ragnatela le vittime, così da potersi cibare.
Il contraltare di questa oscurità è l'amicizia, e King è un maestro nel descrivere con dovizia di dettagli tutte le situazioni più tipiche adolescenziali: dal bullismo ai primi amori, il cinema, i giochi e la fantasia innata che solo la spensieratezza può concedere. Questi due contrapposti, Pennywise e una combriccola di amici affiatati, sono la miscela detonante che porterà allo scontro tra il bene e il male. Ma c'è un imprevisto: il male siamo anche noi stessi ad alimentarlo. Ed ecco che dalle migliaia di pagine del libro, nei momenti più imprevedibili, emerge l'oscurità. È una paura impercettibile, subdola, e vi garantisco che coglie sempre di sorpresa durante la lettura.
Ora non fraintendetemi, spesso chi ha letto questo libro dice di non aver provato alcun brivido, ma qui sta a noi essere capaci di accettare inconsciamente che tutto questo possa essere reale, sta a noi leggere ogni capitolo come se credessimo a Babbo Natale o alla Befana, ancora non in grado di distinguere il reale dall'irreale, avvolti da quella ingenuità adolescenziale che subito svanisce con la maturità; simile a quel brivido di quando riusciamo a pedalare per la prima volta in equilibrio sulla bici, scoprendo il principio fisico dell'equilibrio e gioendo dei primi effetti della velocità; un'eccitazione che riteniamo irripetibile. Qui è richiesto lo sforzo di abbandonarsi all'irrealtà per poter vivere un'esperienza unica di terrore e goderci al meglio questo romanzo.
Perciò armatevi di pazienza per le milleduecento pagine che dovrete sfogliare e calatevi nelle fogne di Derry. Indossate la panoplia minima per difendervi dal terrore e se volete amplificare il tutto assicuratevi di leggere in una stanza a bassa illuminazione, dove ci sia un incessante ticchettio di pioggia sulle finestre, un fruscio di alberi mossi dal vento autunnale che accarezzano le pareti esterne della vostra casa con pervicace insistenza, e una desolante solitudine che accompagnino la vostra copia di IT. Una edizione usata, magari di decima mano, consunta dal tempo e priva del fresco odore di stampa, in modo che al tatto dia una sensazione di ancestrale porosità.
A questo punto che siano i Perdenti ad accompagnarvi per le strade di Derry insieme ad un unico consiglio: lasciate ogni speranza o voi che leggete!

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