Tra le più discusse controversie storiche degli ultimi venti anni, quello del popolo Shardana è ormai uno dei più dibattuti, tanto da essere il brand più utilizzato da hotel, ristoranti e sevizi che possiamo trovare ben esposti nelle zone più turistiche della povera Sardegna. Lo studio approfondito e scientifico di cui si occupa Cavillier si espone alle più ottuse e ignoranti critiche da parte di pesudo-studiosi e popolo patriottico pregno di confuse idee di uno pesudo-glorioso passato di cui vantarsi e identificarsi. Esatto, il nodo è proprio questo: popolo barbaro chiuso in se stesso a difesa della propria fiera tradizione nuragica o guerrieri invasori dalle spiccate capacità nautiche e dal grande orgoglio bellico?
Se la verità sta nel mezzo, in questo caso si colloca proprio da un’altra parte. Questo popolo non mostra nessuna caratteristica presenza di stanziamento abitativo o funebre, non lascia tracce della propria presenza se non nelle lotte e conquiste di altri popoli come gli egizi.
Dagli studi di Cavillier emerge un gruppo di pirati più che guerrieri, e inoltre, l’entità del loro passaggio, raccontate nelle più celebri battaglie delle tombe funebri Ramessidi, ci mostra quanto il loro rapporto di guerrieri invasori muti nel tempo, tanto da non poterli cristallizzare in un’unica dimensione di conquistatori.
I geroglifici ci consegnano la loro presenza assieme a quella dei Popoli del Mare, poi nei ranghi dell’esercito Ramesside come mercenari e in seguito come entità stanziata permanentemente nelle terre del Vicino Oriente. Insomma, l’aspetto cinematografico che spesso gli viene attribuito è più che forviante e Cavillier ci dimostra come il loro studio vada affrontato con le dovute cautele.
Nel regno della fantarcheologia ci si è spinti ben oltre. I nuragici, identificati con i Shardana, sono i conquistatori che la società presente avrebbe voluto essere; troppo poco vincenti rispetto agli agenti commerciali del Mediterraneo che Cavillier ci descrive in questo volume.
Il libro raccoglie tutte le più rilevanti fonti che in qualche modo citano una testimonianza della presenza Shardana, dalle lettere di Amarna alla stele di Tanis, dalla battaglia di Qadesh, inciso nel tempio di Abu Simbel, all’ingresso del tempio funebre a Medinet Habu di Ramesse III. Lo studio di Cavillier è approfondito e corredato dei relativi geroglifici tradotti. Dove si arresta la ricerca si scatena la speculazione, perché è arbitrario e poco scientifico forzare collegamenti di natura fonetica con antiche toponomastiche solo per far tornare i conti; insomma, niente cazzate per il grande pubblico in cerca di un glorioso passato di cui vantare la propria l’appartenenza.
Trent’anni di studi portano ad una indubbia conclusione, quei nuragici non sono gli Shardana che molti sperano e il loro ruolo di “eletti” presso le corti egizie sono e rimangono deduzioni prive di conferme, come quella speranza che i noti bronzetti nuragici fossero fedeli rappresentazioni dei guerrieri dall’elmo cornuto, distinzione guerriera ampiamente diffusa, decade di fronte alle fonti geroglifiche e reperti iconografici.
La dolorosa realtà è quella di un’isola di approdo nel centro del mediterraneo che vanta un dialogo costante con numerose culture di cui spesso assorbe le peculiarità e mostra un carattere proteso al commercio, nulla di cui vergognarsi. Non sempre il conquistatore è una figura di cui vantarsi, men che mai durante questi giorni funesti in cui la sopraffazione di popoli sembra trovare un nuovo slancio nelle periferie dell’Europa.
Cavillier ci ricorda quanto la ricerca scientifica e la sapienza dello studio e del confronto siano i perni di una corretta analisi del passato. Non possiamo proiettare le nostre speranze del presente verso un passato che non ci parla e non ci racconta le favole di cui tanto sembra si abbia l’impellente necessità di corroborare con l’archeologia.
Lasciate ogni speranza o voi che raccontate illuse speranze.

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