Nell’epoca della capillare diffusione dello smart working e sviluppo tecnologico, sempre più spesso si parla del concetto di downshifting, quel calo, o per meglio dire, rallentamento del concetto di lavoro che si contrappone all’immagine industriale post bellica, dai contorni quasi servili, nei confronti della prestazione retribuita che stona tremendamente a fronte del conquistato progresso.
Tra il coro di voci emerse dalle rivendicazioni dei salariati, negli ultimi anni si è fatta spazio la volontà di ridurre l’orario di lavoro, un aspetto che non coinvolge solo la realtà italiana, ma anzi, si estende dall’Europa alla Gran Bretagna, fino ai paesi più distanti come la Nuova Zelanda. L’argomento è talmente sentito da essere affrontato anche da rinomate testate giornalistiche, come il Financial Times, tanto da domandarsi se non sia il momento di accorciare l’orario effettivo di presenza a lavoro.
L’approccio di Fausto Durante a questo tema è particolarmente efficace. Pone gli accenti sulla fattibilità e su numerosi casi già sperimentati in altre parti del mondo, senza scordare le lezioni del passato ai quali hanno contribuito grandi imprenditori, sensibili alle dinamiche sociali. E proprio sulle dinamiche sociali riscontriamo una particolare sensibilità da parte dell’autore. La riduzione dell’orario del lavoro non è fine a se stesso ma integrato a ottenere una libertà e migliore gestione del tempo, affondando le proprie ragioni nel favorire una ripresa economica e sociale che negli ultimi tempi ha sofferto di forti instabilità sanitarie, politiche ed economiche.
Di questo i principali studi e dati disponibili confermano che il numero di ore trascorse nei luoghi di lavoro sono fermi a quaranta anni fa. La discrepanza riscontrata da Durante è che a fronte di una produttività aumentata di almeno il 60%, si contrappone un salario pressoché invariato, se non diminuito. Le élite si sono, insomma, accaparrate quasi tutti i guadagni derivanti dalla crescita economica degli ultimi quattro decenni.
Non si può negare l’esistenza del problema. Una massa di persone si ritrova vittima di un capitalismo predatorio i cui effetti si manifestano in livelli di disuguaglianza dei redditi e patrimoni che nulla hanno da invidiare a quelli del XIX secolo. La distribuzione del progresso tecnologico si trova così ad essere mal ripartita, spingendo numerose persone a lavorare di più perché scarseggiano le risorse per vivere bene, risultato di un capitalismo teso alla scarsità di mezzi. Gli effetti sono ormai evidenti, disoccupazione e sottoccupazione spingono altrettante persone ad avere tempo libero involontario mentre contemporaneamente la società privilegia il lavoro rispetto al tempo libero, chiara ripartizione sbilanciata delle disuguaglianze sociali. In particolare sono colpite le fasce di giovani tra i 20 e 30 anni che, Ken Loach lo ben rappresenta in Sorry We Missed You, sono figli della disumanità e ritmi dei tempi di lavoro attuali, nuovi schiavi della moderna società del benessere.
Eppure Francia e Germania, così spesso citate dalla politica come ispirazione di società democratiche, non convincono l’imprenditoria e firme sindacali della penisola quando si tratta di riduzione dell’orario di lavoro. Numeri e dati sono indubbiamente positivi, non ultimi quelli emersi in Svezia presso una casa di riposo che ha messo in evidenza come la riduzione dell’orario di lavoro abbia portato ad una proporzionale riduzione di assenze per la malattia e incremento di qualità del servizio offerto agli ospiti, un vero “case study” .
Ma allora perché non viene presa in considerazione questa possibilità? Ormai siamo alle porte di una crisi energetica che spinge politica e imprenditoria a rivedere i consumi nei luoghi di lavoro, soprattutto nelle stagioni invernali, proponendo una riduzione di orario delle climatizzazioni e produzioni degli ambienti di lavoro. Perché non cogliere questo momento di contrazione, per certi versi obbligata, del consumo energetico per rivedere strutturalmente anche l’apporto di ore lavorative svolte? Lavoro e consumo energetico sono palesemente legati e la risoluzione di un problema è sinergico all’altro. Fausto Durante lo sottolinea, è tempo di un cambio di approccio. È necessario che la rigidità delle mentalità manageriali novecentesche facciano spazio a nuove modalità fisiche e spaziali del lavoro. È tempo che si aprano tavoli di discussione concreti delle rappresentanze lavorative per giungere a nuovi accordi che dirigano la volontà delle parti verso nuove armonie che bilancino il lavorare meno, lavorare tutti e consumare meno.

Nessun commento:
Posta un commento
Regole di comportamento:
1)I commenti inerenti gli argomenti trattati, utili allo sviluppo delle tematiche, non verranno rimossi.
2)Ti prego di mantenere un tono rispettoso evitando di offendere gli altri partecipanti.
3)Non utilizzare questo spazio pubblico per condividere pubblicità di natura personale.
4) Ti ringrazio per il tempo che dedichi al mio blog.